Anniversario di “tenera mente – onlus” con Mater Matuta

Quando scrissi questo articolo ero cosciente della complessità del mito di Mater Matuta relativamente al rapporto tra maternità di sangue e maternità di elezione. Non avevo capito, invece, quanto esso anche racconta rispetto al mutamento che interviene in chi parte da una costa del mare per arrivare a un’altra. In questa traversata è l’identità stessa che muta e si arricchisce, come sembra raccontarci il mito di Ino Leucotea e di suo figlio Portuno, il dio dei Buoni Arrivi.
Inoltre, per una straordinaria coincidenza, “tenera mente onlus” si è costituita nello stesso giorno in cui anticamente si celebravano le Feste delle Buone Madri, a lei dedicate. Ci fa piacere quindi condividere con voi una festa così antica e un anniversario così recente.

visione mitica degli attuali sbarchi

Mater Matuta a Roma: il suo tempio e il suo culto

Quella al cui centro oggi sorge l’Anagrafe è una delle zone più antiche di Roma, dove i pastori stazionavano col loro bestiame sulle rive del Tevere, in attesa di accedere all’Isola, porto importante e vitale luogo di scambi. Per questo venne chiamata Foro Boario.
E lì, ai pedi della rupe Tarpea, sorge una chiesetta che forse pochi hanno notato. E’ quello infatti un punto – nell’odierna città – in cui le macchine scalpitano al semaforo rosso, attendendo il loro turno o per volgere a destra, verso Trastevere, o a sinistra, per correre sull’Aventino. Eppure quella chiesetta, che si erge tra visibili rovine della Roma antica, sta lì a segno di qualcosa di ben più remoto.
Dedicata a Sant’Omobono e aperta ogni prima domenica del mese per la messa delle 11, essa poggia su due templi gemelli della Roma Repubblicana: quello a sinistra, dedicato alla Fortuna, e quello a destra, dedicato a Mater Matuta.
A loro volta i due piccoli templi sono costruiti su un unico tempio, più antico, dedicato in epoca regia alla stessa Mater Matuta.

Mater Matuta è la “madre del mattino” o “dea della prima luce”: quella che i Greci chiamavano Eos – Aurora – che, al finire di ogni notte, si leva dal letto del suo sposo Titone e sale al cielo su un carro condotto da cavalli bianchi, per annunciare a Dei e uomini l’arrivo del sole. Ma questa Dea della Prima Luce, così profondamente radicata nel suolo di Roma, non viene rappresentata su un carro proteso verso l’alto, bensì come una donna seduta con un bambino in braccio. E’ forse una madre? E chi è questo bimbo?

In Grecia si narra di Ino che, moglie del re della Beozia Atamante, ebbe da lui due figli: Learco e Melicerte. Un giorno Era, la sposa di Zeus, fece impazzire entrambi: Atamante uccise Learco credendolo un cervo, e Ino prese Melicerte in braccio per gettarsi con lui da una rupe in mare. Fu davvero perché era impazzita, oppure – come alcuni affermano – fu per salvare il figlio dalla furia paterna? Non sappiamo. Ma quello che è certo è che le cento figlie di Nereo, divinità delle acque, accorsero in loro aiuto e li accolsero amorosamente, conducendoli illesi attraverso i flutti del mare fino alle foci del Tevere.
Quando arrivarono sulla nostra terra, Ino e Melicerte non erano più quelli che erano stati in terra di Grecia: Ino era diventata Leucotea, la Bianca Dea, e Melicerte il Dio dei Porti o dei Buoni Arrivi: il fanciullo che corre sulle onde cavalcando un delfino, che i greci chiamano Palemone. I Latini lo conoscono invece col nome di Portuno e a lui dedicarono un tempio proprio nell’area sacra del Foro Boario, forse quello a base circolare comunemente noto come Tempio di Vesta, o forse quello a base rettangolare, comunemente noto come Tempio della Fortuna Virile. Entrambi, comunque, eretti a breve distanza dal tempio originario di Mater Matuta.

Racconta Ovidio che l’11 giugno venivano lì celebrate le Feste Matrali o delle Buone Madri.
Le matrone romane varcavano la soglia del tempio con un bimbo in braccio, e dietro seguiva una serva che, a un certo punto del rito, veniva bastonata e cacciata. Ma il bimbo che le donne portavano in braccio non era il proprio figlio bensì, in generale, quello delle proprie sorelle.
Quindi, il rito sembra accennare a Ino, che entra nel tempio tenendo tra le braccia non suo figlio Melicerte, bensì suo nipote, il divino fanciullo Dioniso: fu Ino, infatti, ad allevare come madre il giovane dio. Sua sorella Semele aveva concepito Dioniso congiungendosi segretamente a Zeus in apparenze umane. Ma la divina Era, scoperta la loro relazione, si era recata dalla giovane donna e, assunte le sembianze della nutrice, l’aveva convinta a chiedere al dio di apparirle in tutto il suo splendore. Zeus si era schermito, aveva cercato di dissuadere la giovane, ma su di lei il potere di persuasione della falsa nutrice fu tale, che Zeus dovette accondiscendere. Il subitaneo splendore del dio folgorò la povera Semele che si accasciò, fulminata.

Dioniso, la cui gestazione non era ancora giunta a termine, venne amorosamente prelevato dal padre dall’utero della madre e cucito nella pelle della propria coscia. E quando nacque, fu consegnato ad Ermes, che lo affidò a Ino. E questa lo crebbe, nascosto in abiti di fanciulla, insieme ai suoi figli Learco e Melicerte. Ma Era scoprì questo nascondiglio e, per vendicarsi, provocò la follia omicida di Atamante e di Ino, mentre Dioniso veniva messo in salvo dal padre Zeus e affidato alle ninfe di Nisa.

Povera Ino – scrive Ovidio – quanto fosti più fortunata come nutrice di Dioniso che come madre dei tuoi stessi figli!

Alle matrone romane, nel tempio, venivano offerte focacce frettolosamente abbrustolite sul fuoco: cibo col quale la fuggiasca Ino Leucotea fu sfamata, appena giunta sulle coste del Lazio, dalla ospitale e generosa Carmenta, moglie di Evandro, la quale le profetò un futuro di culto sulla nostra terra.

Quindi le donne che l’11 giugno entravano nel tempio di Mater Matuta col bimbo in braccio sicuramente celebravano la memoria di Ino, madre di Melicerte e zia nutrice di Dioniso.
Ma quella serva che viene bastonata e cacciata fuori del tempio è davvero la serva che calunniò Ino presso il marito Atamante, accusando la sua padrona di aver provocato la carestia fornendo ai contadini grano tostato come semente? O non è piuttosto la falsa nutrice Era che convinse Semele a guardare da vicino, e impreparata, lo splendore del dio?
Può essere, allora, che la donna che entra nel tempio sia anche Semele, col figlio Dioniso in braccio, in questa occasione riacquistando la sua maternità perduta. E allora la Mater Matuta celebrata nell’antico tempio risulterebbe essere un’intersezione complessa del mito delle due sorelle, in cui maternità di sangue e maternità di elezione s’intrecciano e si fondono, completandosi a vicenda.

Enrica Baldi, Roma, Aprile 1992

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