L’adulto e il bambino
L’adulto e il bambino
Stiamo facendo una cosa importante: portare dentro l’adulto quel fulcro vitale presente nel bambino (“intelletto d’amore” lo chiamava Maria Montessori) a costituire un motore intellettuale e culturale, e non soltanto uno spazio residuale di tenerezza e ricordi nostalgici.
Ma non il bambino come inferito dall’adulto psichicamente o psicologicamente a disagio; bensì il bambino impegnato nel suo sviluppo qual è davanti ai nostri occhi, in grado di rimetterci in contatto col bambino o la bambina che eravamo, troppo spesso costretti al silenzio in ciò che capivamo e a una sorta di ibernamento emotivo per ciò che provavamo.
L’unico modo di opporci in modo radicale alla cultura del cinismo e dell’impotenza che ci circonda e ci possiede, è quello di rientrare in contatto – attraverso il bambino reale che abbiamo davanti – con quella bambina, con quel bambino interiore e le loro potenzialità inespresse, per riappropriarci del loro/nostro modo di conoscere e amare.
E come si fa questo? Recuperando l’agio del corpo e la capacità di concentrazione; rivitalizzando il nesso bisogno/soddisfazione del bisogno senza che nel breve spazio di attesa s’inseriscano altre soddisfazioni sostitutive, altri bisogni succedanei; portando quei bisogni da un livello intuitivo a un livello cosciente senza deviazioni e senza sotterfugi. Rifiutando cioè di automanipolarci in nome di qualsivoglia convenienza: etica, economica o sociale, seppure governata dalle migliori intenzioni.
In sintesi, riappropriandoci di “quella chiarezza / che non ha permesso di esistere” (Amelia Rosselli) non più con la fragilità inerme del bambino ma con la forza ponderata dell’adulto.
Ma perché questo avvenga, occorre che gli adulti chiamati a proteggere le potenzialità del bambino nel suo sviluppo, sappiano creare tra loro una rete di rapporti di collaborazione basati sul rispetto, la curiosità e la discrezione, e abbiano la disponibilità a far riemerge in sé quella “sensibilità essenziale” di cui parlava Maria Montessori, che – unica – mette l’adulto in contatto profondo col bambino e, tra noi adulti, permette un rapporto di comunicazione che va al di là delle barriere culturali, come insegna l’uomo di teatro Peter Brook.