Dalla Tasmania all’India e ritrova la madre

Le ha appoggiato le dita sul viso. Come avrebbe fatto un cieco. E poi le ha lasciate scivolare sugli occhi di lei, sul naso, sulle labbra, sul collo rugoso, sulle spalle sottili, su quello scheletro da betulla invecchiato dal dolore prima ancora che dagli anni. Doveva essere sicuro di non sbagliarsi. Era venuto apposta dalla sua casa in Tasmania e voleva essere certo che quella donna indiana che aveva ritrovato grazie alle immagini satellitari di Google Earth fosse davvero la sua madre naturale. Quando le loro dita si sono intrecciate rivelando una confidenza che solo il sangue è capace di restituire, Saroo Brierley è scoppiato a piangere. Non lo aveva più fatto dall’estate del 1986, quando, su una panchina di cemento di una stazione di periferia, aveva perso il filo della sua esistenza.

Aveva cinque anni e con il fratello più grande passava le giornate spazzando le carrozze dei treni in transito. Lavoravano quattordici ore e la sera si spulciavano con un’attenzione da cuccioli di scimmia. Si volevano bene. «Quel giorno faceva un caldo atroce. Ero stremato. Mi addormentai vicino alla biglietteria. Un sonno breve. Quando riaprii gli occhi mio fratello non c’era più». Pensò che fosse salito sul treno che stava per partire dal binario di fronte. Ci saltò sopra convinto che si sarebbero incontrati. «Perché non mi ha chiamato?», questo gli voleva dire. Il sonno fu nuovamente più forte di lui. Si addormentò, ma questa volta si svegliò quattordici ore più tardi. A Calcutta. «Non sapevo né leggere né scrivere e per me il mio villaggio non era un luogo geografico. E soprattutto non aveva un nome». Cominciò un quotidiano popolato di fantasmi cosmici, in un mondo fatto di lamiere ondulate, sporcizia, grida e violenza, pieno di tagliagole e ratti grandi come chihuahua.

Si convinse di essere nato solo per crepare. «Calcutta mi faceva paura. Dormivo in rifugi improvvisati. Non credo che mia madre sarebbe stata felice di sapere che suo figlio di cinque anni era precipitato in quell’inferno». Era un bambino microbo che urlava disperato: non sono un cane rabbioso, vi prego, prendetevi cura di me.

Un giorno un tizio con baffi affermativi, che girava a bordo di u n ’a u t o m o b i l e mirabolante, gli promise che lo avrebbe riportato a casa. «Vieni con me. Non ti dovrai più preoccupare di nulla». Era scivoloso, grasso, e aveva uno sguardo malefico. Saroo si spaventò e cominciò a correre. «Ero certo che mi avrebbe fatto del male. L’orfanotrofio sgangherato che mi ospitò un mese più tardi mi sembrava il paradiso. Quando una coppia australiana decise di adottarmi pensai che i miei problemi erano finiti. Mi sentii sollevato, eppure avevo lo stomaco chiuso: sentii che non avrei mai più rivisto la mia famiglia». Si sbagliava. Almeno in parte.

La vita in Tasmania non è stata male, ma a Saroo mancava sempre un pezzo. Per ricostruirlo si è buttato su internet, utilizzando le immagini satellitari e battendo le province indiane a una a una per vedere se le foto erano in grado di riaccendergli la memoria. Una ricerca ossessiva. «Mi sentivo come Superman che guardava il mondo dall’alto. Un giorno ho capito come restringere il campo della ricerca».

Ha calcolato la velocità media di un treno indiano, l’ha moltiplicata per 14 ore di viaggio e si è reso conto che il suo villaggio doveva essere in un raggio di 1.200 chilometri da Calcutta. L’ha trovato. «È stato un colpo: bang. In una foto ho visto le cascate dove giocavo da bambino. Mi è esploso il cuore. Ho seguito lo strada e Google mi ha portato a Khandwa, casa mia».

I signori Brierley gli hanno pagato l’aereo e Saroo si è presentato al villaggio. La porta di casa era sbarrata da un lucchetto. Le camere vuote. Ma lui aveva con sé la foto di quando era bambino. Era sottile, con i capelli corvini e occhi grandi come la luna. Un anziano l’ha riconosciuto e gli ha detto: aspettami qui due minuti. Si è ripresentata assieme alla donna col fisico da betulla. «Non era uguale ad allora, ma ho capito che era lei». La donna gli si è avvicinata sotto shock, cercando di balbettare le faticose sillabe dell’allegria. C’è voluto un po’ prima che riuscissero ad abbracciarsi. «Che fine ha fatto mio fratello?». Lei è impallidita. Gli ha raccontato che due anni dopo la sua scomparsa fu ritrovato vicino ai binari. Tagliato in due. Di netto. Come una mela. Era stato sbranato dal treno. «Ma ora tu sei qui e io per questo non finirò mai di ringraziare il cielo».

Hanno cenato assieme, si sono scambiati gli indirizzi e dati nuovi appuntamenti. Poi Saroo è tornato in Tasmania, portandosi nel cassetto più largo della memoria l’immagine di suo fratello che gli toglieva le pulci dal vestito e poi gli occhi stupefatti di sua madre anziana, il silenzio della sua bocca chiusa in un sorriso incredulo sopra i denti gialli.

“India, si perde a 5 anni. A 30 ritrova 
la madre con le mappe sul Web”, Andrea Malaguti, La Stampa, 15 aprile 2012

È possibile seguire tutte le risposte a questo articolo tramite il RSS 2.0 feed.

All contents copyright © tenera mente – onlus. All rights reserved. Theme design by Web-Kreation.