L’arabesco di Filippo. L’invenzione del nero e dei colori

Quando nel marzo scorso una psicologa ex bambina Montessori mi ha inviato Filippo, sono stata contenta, perché mi sarei potuta confrontare sul lavoro che avrei svolto, valutandone con lei l’evoluzione: aveva amato quanto me i materiali sensoriali e li ricordava benissimo. Poi però mi sono resa conto che non sapevo da dove cominciare.

Fino ad allora avevo utilizzato i materiali sensoriali Montessori per lo più con ragazzine che soffrivano di ritardo mentale o bambini ipercinetici; Filippo invece andava benissimo a scuola (V elementare) ma aveva una brutta scrittura, che arrivava a essere illeggibile. La maestra aveva segnalato il problema alla madre, che aveva subito preso provvedimenti, inviandolo appunto dalla psicologa, che lo aveva incontrato più volte e non aveva rilevato alcuna patologia, se non un conflitto tra una parte di Filippo che desiderava essere un bimbo coccolato e un’altra di giovane adulto molto responsabile in ambito familiare. Era “compresso” tra questi due stati.

Dopo i primi cinque incontri di un’ora, in cui abbiamo lavorato coi materiali sensoriali (incastri solidi, cilindretti colorati, torre rosa e scala marrone) ho aggiunto una mezz’ora in cui ho iniziato a introdurre alcuni esercizi di rieducazione grafomotoria, partendo dagli arabeschi.

Quando a maggio Filippo disegnò quest’arabesco, seppe solo dire: Mi sembra un Carnevale, perché sono stelle filanti.

Avevo già espresso alla madre la mia difficoltà a capire come pensava Filippo: bambino di poche parole, raccontava pochissimo di sé e non riusciva a commentare i suoi disegni. Si strofinava la fronte con un’espressione sofferente e dalla sua penna non usciva nulla. Mormorava con voce sommessa: Non mi viene in mente niente.

Mi parve allora di capire che per lui il segno grafico della scrittura non avesse alcun significato personale: svolgeva i temi in classe perché facevano parte della routine che era obbligato a seguire, ma nella scrittura lui non c’era. Scriveva molto, riportando ottimi voti, ma non trasportava nello scrivere il suo essere, i suoi sentimenti e pensieri più intimi, che – taciturno com’era – rimanevano inespressi. Come mi disse, per lui scrivere non era un atto di libertà ma pura costrizione.

Era già un successo il fatto che, man mano che avanzavamo nel percorso pittografico, riuscisse a dare un titolo al suo disegno.

Nel primo incontro di settembre, sia per ricongiungermi al lavoro precedente sia per capire cosa era successo alla sua scrittura nella pausa estiva, ho pensato di ripartire dai suoi disegni, a cominciare dal primo che aveva fatto, per scrivere, ciascuno su un foglio bianco, i pensieri che il disegno ci suggeriva.

Abbiamo quindi ripreso i suoi disegni e, uno dopo l’altro, abbiamo iniziato a commentarli per scritto; i suoi commenti ai primi due sono scivolati tranquilli: osservazioni puntuali e intelligenti. Da parte mia cercavo di mettere in evidenza come aveva utilizzato lo spazio – ha un problema su questo nello scrivere – ma senza darvi un rilievo particolare.

Al terzo disegno, l’arabesco qui riprodotto, ho scritto:

Arabesco di Filippo

“Quando Filippo ha disegnato questo arabesco ha detto che gli ricordava il Carnevale, perché vedeva stelle filanti che si intrecciavano nell’aria.

Il fondo è nero e i colori chiari risaltano. La traccia maggiore è quella di una linea bianca larga e sinuosa che con belle curve, ampie e morbide, percorre lo spazio dall’alto in basso.

Ci sono poi altre linee e zone di segni più brevi: in alto corti e rettilinei, bianchi e gialli a destra, gialli e arancioni a sinistra; in basso invece curvi e ricciuti, gialli, collocati a destra. C’è molta vivacità in questo disegno, forse dovuta alla varietà di forme che s’intersecano e creano altre forme. Effettivamente sembra un allegro Carnevale!”

Poi, Filippo ha letto quanto, dopo una breve incertezza iniziale (“Non sono sicuro come si dice”), aveva scritto:

L'arabesco di Filippo

L’arabesco

Sembra come se quando furono inventati i colori vi fossero fatti entrare con una pressione tale che alcuni schiacciandosi abbiano formato il nero che è in prevalenza e che tutti gli altri colori si agitino per scappare e che si scontrino formando alcune chiazze opache e non distinte, o spezzandosi in piccoli frammenti che poi piano piano si consumino addosso agli altri formando nuovi colori che aggiungendosi agli altri comprimono lo spazio che diventa sempre meno. Oppure formino forme strane che si attorcigliano su se stesse.

Il primo punto arriva dopo dodici righe, la sintassi è quasi perfetta, lo scritto è una rara sintesi di sensazioni e ragione: e non ha ancora compiuto undici anni.

Sembra che finora il pensiero più personale di Filippo nascesse compatto e che lui avesse difficoltà a farlo scendere dalla mente, in cui si formava in tutta la sua completezza, sul foglio bianco attraverso il braccio, la mano, e le sue giovani dita. Il suo essere taciturno, il rispondere a monosillabi, originava forse dal fatto che il suo pensiero complesso aveva difficoltà a essere espresso in forma lineare.

Qui, c’è la sorpresa. E, forse, l’inizio di una diversa apertura al mondo.

Enrica Baldi, grafologa e rieducative della scrittura

Articolo pubblicato su: Il giardino di Adone n.25, 2014
Ringraziamo il Direttore dott.ssa Anna Rita Guaitoli, grafologa, per la gentile concessione.

Vedi anche:

Julian de Ajuriaguerra e la rieducazione grafomotoria

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