31 ottobre 1984: Eduardo

Il 31 ottobre 1984 moriva a Roma Eduardo De Filippo, uno di maggiori artisti ed intellettuali italiani del ‘900.

Di se stesso scriveva:

“Sono nato a Napoli il 24 maggio 1900, dall’unione del più grande attore-autore-regista e capocomico napoletano di quell’epoca, Eduardo Scarpetta, con Luisa De Filippo, nubile. Mi ci volle del tempo per capire le circostanze della mia nascita e quando a undici anni seppi che ero “figlio di padre ignoto” per me fu un grosso choc. La curiosità morbosa della gente intorno a me non mi aiutò certo a raggiungere un equilibrio emotivo e mentale. Così, se da una parte ero orgoglioso di mio padre, della cui compagnia ero entrato a far parte, sia pure saltuariamente, come comparsa e poi come attore, fin dall’età di quattro anni […], d’altra parte la fitta rete di pettegolezzi, chiacchiere e malignità mi opprimeva dolorosamente. Mi sentivo respinto, oppure tollerato, e messo in ridicolo solo perché “diverso”. Da molto tempo, ormai, ho capito che il talento si fa strada comunque e niente lo può fermare, ma è anche vero che esso cresce e si sviluppa più rigoglioso quando la persona che lo possiede viene considerata “diversa” dalla società. 
Infatti, la persona finisce per desiderare di esserlo davvero, diversa, e le sue forze si moltiplicano, il suo pensiero è in continua ebollizione, il fisico non conosce più stanchezza pur di raggiungere la meta che s’è prefissata. Tutto questo però allora non lo sapevo e la mia “diversità” mi pesava a tal punto che finii per lasciare la casa materna e la scuola e me ne andai in giro per il mondo da solo, con pochissimi soldi in tasca ma col fermo proposito di trovare la mia strada. Dovrei dire: di trovare la mia strada nella strada che avevo già scelto da sempre, il teatro, che è stato ed è tutto per me.”

(Nota autobiografica risalente ai primi anni Settanta, in CM 1986)

E nel 1984, poco prima di morire, durante la sua ultima apparizione pubblica al Festival di Taormina, di suo figlio Luca disse:

« …senza mio figlio, forse io, me ne sarei andato all’altro mondo tanti anni fa…  senza di lui il mio cuore avrebbe cessato già di battere; io devo a lui il resto della mia vita! …lui ha contraccambiato in pieno! Non ho mai parlato di mio figlio, s’è presentato da sé, è venuto dalla gavetta sotto il gelo delle mie abitudini teatrali, quando sono in palcoscenico a provare, quando ero in palcoscenico a recitare… è stata tutta una vita di sacrifici e di gelo! Così si fa il teatro. Così ho fatto io! ma il cuore ha tremato sempre tutte le sere! e l’ho pagato, anche stasera mi batte e continuerà a battere anche quando si sarà fermato.»

Nel 1971, nella prefazione a ‘O Canisto, raccolta di racconti tra cui compariva anche uno che aveva scritto lei, “Lo scoiattolo in gamba”, così aveva scritto della figlia Luisella, morta improvvisamente anni prima a soli 12 anni:

“Adesso Luisella tiene vent’anni… Il tempo passa, come no! Per una ragazza bella come lei, moderna, allegra e con tutta la gioia di vivere che ha, si giustifica in pieno l’indifferenza che prova per i ricordi dell’infanzia, io però a sua insaputa questo Scoiattolo l’ho voluto mettere nel Canisto. Lei non lo darà a vedere, ma in fondo ne avrà gioia.”

Ai bambini e ai giovani il teatro di Eduardo ha sempre dato molta attenzione. E’ una bambina malata, la figlia del protagonista, che determina il finale di “Napoli milionaria”, con la famosa frase “adda’ passa’ ‘a nuttata!”. Sono i tre figli di Filumena il centro drammatico di “Filumena Maturano”. Sono i giovani la preoccupazione più accorata de “Il sindaco del rione Sanità”. E’ un ragazzo alle soglie della vita il protagonista di “Lo Priore Vincenzo”. Infine, è un bambino il protagonista di “Peppino Girella”, lo sceneggiato tv in sei puntate andato in onda nel 1963.

Ed è ai ragazzi del “Filangeri”, il carcere minorile di Napoli, che Eduardo soprattutto pensa dopo essere stato nominato nel 1981 Senatore a vita. Presenta subito un’interpellanza al Ministro di Grazia e Giustizia sui problemi dell’Istituto, e va a trovare i ragazzi, discutendo con loro. Per loro elabora un progetto ancora da realizzare: recuperare un borgo antico, ristrutturarlo, dotarlo di botteghe per le arti tradizionali e far lì lavorare i giovani che lasciano l’istituto una volta scontata la pena. Per la loro formazione si sarebbe dovuta costituire un’apposita fondazione finalizzata allo studio, al recupero e allo sviluppo delle arti e dei mestieri tradizionali napoletani.

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